15 Gennaio 2014
Intervista al direttore dell’Irvos
Il vino delle contraddizioni. Perché i numeri, nudi e crudi, segnano qualche piccolo arretramento. Ma le prospettive non mancano. E soprattutto se i dati sono confrontati con una decina di anni fa allora c’è da esaltarsi. In questa immagine di qualche ombra e molti sprazzi di luce sta tutto il vino siciliano del momento. Insomma il presente non è dei peggiori e il futuro potrebbe essere molto roseo. Ne è convinto Lucio Monte, da poco più di un anno direttore generale dell’Irvo, l’ex Istituto regionale della Vite e del Vino che alle proprie competenze ha aggiunto anche tutto quello che riguarda la produzione dell’olio extravergine di oliva.
Ampia sintesi dell’intervista rilasciata da Lucio Monte, direttore generale dell’Irvos, al Giornale di Sicilia del 14/01/2014 sul futuro del vino siciliano.
Partiamo dal vino. Come si è chiuso il 2013?
“Sul versante della produzione non abbiamo ancora il dato ufficiale che sarà disponibile tra qualche giorno. In ogni caso possiamo dire che si prevede un 15 per cento in più rispetto alla vendemmia 2012. Una media nel senso che abbiamo zone con crescite maggiori soprattutto in alcune aree dell’agrigentino e del trapanese e crescite inferiori se non addirittura lievi cali a Pantelleria e sull’Etna”.
In dati assoluti?
“Nel 2012 la Sicilia ha prodotto 5,1 milioni di ettolitri di vino, con la vendemmia dell’anno scorso potremmo arrivare a circa sei milioni di ettolitri. Dati che saranno confermati con la dichiarazione di produzione e che diventeranno quelli definitivi”.
Quale il motivo che spinge ad essere ottimisti?
“Se confrontati ad una decina di anni fa la Sicilia del vino ha fatto passi da gigante. Prima buona parte della produziome era orientata sul versante della quantità e della distillazione, cioè produrre vino non per berlo. Oggi è cambiato tutto lo scenario. C’era una esigenza prioritaria. Qualificare il mare di vino prodotto. La strada è intrapresa”.
Qualche dato a supporto di questa tesi?
“Uno su tutti. L’anno scorso la Sicilia del vino ha prodotto circa 200 milioni di bottiglie, in buona parte vino proveniente da quei 5 milioni di ettolitri prodotti dalla vendemmia 2012. Una cifra impensabile”.
Forse potrebbe trattarsi di circa il 25 per cento del vino prodotto. Non è poco?
“Sino a pochi anni fa era molto più bassa. Imbottigliare significa dare valore aggiunto e significa anche quasi sempre alzare il valore medio. Un risultato che fa ben sperare”.
Un aiuto arriva anche dalla neonata Doc Sicilia?
“Certamente. L’anno scorso abbiamo imbottigliato 120 mila ettolitri di vino Doc Sicilia. E siamo solo all’inizio. La Doc Siclia serve a dare valore aggiunto attraverso la tracciabilità e può essere uno stimolo a fare sempre meglio”.
Resta il fatto che i vini a marchio Doc Sicilia possono essere imbottigliati anche fuori dalla Sicilia…
“È vero. Ma sono anche sottoposti a una serie di controlli che servono a garantire il consumatore finale”.
E in tutto questo gioco di cifre come sta l’export?
“Pur nel momento congiunturale di difficoltà economiche che vive il nostro Paese il mondo del vino siciliano mostra elementi di dinamicità significativi. L’export regge. Secondo i dati dell’Istat il 2012 registra un calo rispetto al 2011 di oltre il 15 per cento. Ma che riguarda soprattuto quelle aziende che non hanno investito molto sulla qualità. Chi vende il vino più caro paradossalmente ha risentito meno del decremento. E il vecchio concetto, spesso dimenticato, che la qualità alla fine paga. Attendiamo i dati del 2013 che prevedono una inversione di tendenza rispetto al 2012 anche perchè molte cantine hanno puntato molto sull’export. Anche a causa delle difficoltà sul mercato interno”.
Cali di consumo generalizzati e la Sicilia che è la cenerentola dei consumi pro-capite. Giusto?
“Sì, dobbiamo fare di più anche per far crescere la cultura del vino tra gli stessi siciliani. E anzi mi sento di lanciare un appello alle cantine dell’Isola affinchè non trascurino proprio la Sicilia. Si è forti nel mondo se si è forti a casa propria”.
Quindi qual è la strada da percorrere?
“È quella di non abbandonare il versante della qualita e alzarne l’asticella e impegnarsi nel processo di internazionalizzazione”.
Quali mercati?
“Sicuramente vanno consilidate le posizioni raggiunte su Germania e Svizzera confortate anche da indagini di mercato e tra i nuovi mercati direi sicuramente gli Usa dove ci sono ampi spazi anche in termini di volume, e poi l’Inghilterra dove servirà fare molta comunicazione e dove il brand Sicilia ha ampi margini di crescita. Non è un caso che quest’anno abbiamo previsto due eventi a Londra. Il primo, a giugno, con l’International Wine Fair, e poi dopo l’estate con i seminari e le degustazioni affidati a una giornalista di fama come Michéle Shah”.
E i Paesi dell’area Bric, Brasile, Russia, India e Cina?
“Mah. Direi Cina. E al momento non mi sembra che gli altri Paesi possano rappresentare un’opportunità per il vino siciliano, almeno nel breve periodo. Resta soprattutto la vecchia Europa”.
Come sarà il 2014?
“Il 2014 sarà un anno che vedrà l’Irvo consolidare il proprio lavoro su tre asset: internazionalizzazione, tracciabilità e certificazione con l’estensione all’olio e all’iter per rivendicare il marchio Igp. E infine la ricerca”.
Che cosa bolle in pentola?
“Un milione e mezzo di euro di fondi, in buona parte comunitari, per l’innovazione e per la sostenibilità. Due progetti, Inoveno e Avigere, ci stanno dando buoni risultati. Come anche il lavoro di ricerca per produrre vini senza solfiti di cui è capofila la cantina Settesoli. E poi il lavoro per l’isola di Malta che ha consentito di dare centralità alla Sicilia su questo versante. Non è finita: dobbiamo essere pronti per entrare nel programma Horizon 2020 per la sostenibilità. Sarà una grande opportunità”.
Intervista di Fabrizio Carrera
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